Cos'è la "oil bubble"



A febbraio l'amministratore delegato di British Petroleum (BP), una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo (nota anche per il disastro della DeepWater Horizon nel golfo del Messico), ha dichiarato: “Everywhere I have been, I have come away with one inescapable conclusion. We have got to change.”
Ovunque io sia stato, me ne sono andato con una ineludibile conclusione: dobbiamo cambiare.

Nella giornata mondiale del vento (Wolrd Wind Day), lunedì 15 giugno, la stessa BP ha rilasciato una nota in cui comunicava che svaluterà i suoi asset (in soldoni, ridurrà il valore attribuito ai propri giacimenti) tra i 13 e i 17,5 miliardi di dollari. La decisione nasce dalla revisione delle previsioni in merito al prezzo del petrolio nel medio-lungo periodo e alla convinzione che la pandemia accelererà la transizione energetica in atto riducendo strutturalmente la domanda mondiale di petrolio.

In primo luogo le riserve esistenti hanno perso valore a causa del calo del prezzo del petrolio che, nonostante il recupero delle ultime settimane, da inizio anno ha perso quasi il 40%. Inoltre, per mantenere gli impegni presi dai governi con gli accordi sul clima di Parigi del 2015 e quelli relativi al Green Deal Europeo, che prevedono l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050, circa l’80% delle riserve conosciute di idrocarburi non potranno essere utilizzate e dovranno rimanere nel sottosuolo.

Per evitare di essere travolte dalla cosiddetta “Oil Bubble” tutte le compagnie petrolifere dovranno rivedere i loro piani d’investimento (in giacimenti, miniere, raffinerie, porti, oleodotti e gasdotti) e soprattutto saranno costrette a ripensare e ristrutturare completamente il loro business.





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