Come e quando potremo andare in pensione?



Come e quando potrò andare in pensione? 

Una domanda che quasi tutti i lavoratori italiani si pongono ad un certo punto della propria vita. Le prospettive però non sembrano delle migliori: lavoreremo di più per un assegno pensionistico sempre più basso. Le cause? L’allungamento della vita, la bassa natalità e un numero di lavoratori sempre più ristretto su cui contare, fattori che mettono a dura prova la sostenibilità del sistema pensionistico italiano.

Come funziona il sistema pensionistico

A partire dal 1° gennaio 2012, le anzianità contributive maturate dopo il 31 dicembre 2011 vengono calcolate per tutti i lavoratori con il sistema di calcolo contributivo. Quest’ultimo basa il calcolo della pensione pubblica su tutti i contributi versati durante l’intera vita assicurativa. A differenza del sistema di calcolo retributivo, che si basa invece sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di vita lavorativa. Il calcolo della pensione con il metodo contributivo rende più sostenibile nel medio lungo termine il sistema previdenziale. Il sistema contributivo, a regime, garantirà quindi ad ogni lavoratore un assegno INPS frutto dei contributi effettivamente versati. Il problema è che il mondo del lavoro sta attraversando una profonda trasformazione e, in prospettiva, vedrà sempre meno contratti a tempo indeterminato e un incremento del lavoro autonomo e delle collaborazioni a progetto, anche per soddisfare la nuova domanda di mercato che incrementerà i trasferimenti per motivi di lavoro da una regione ad un’altra e da un paese europeo ad un altro. Questo da un lato comporta un arricchimento delle proprie esperienze lavorative e di vita ma dall’altro potrebbe implicare dei ‘buchi’ contributivi non trascurabili nel lungo periodo.
L’assegno pensionistico viene calcolato moltiplicando il montante contributivo (pari alla somma di tutti i contributi versati durante l’attività lavorativa) per un coefficiente di trasformazione che viene aggiornato regolarmente in base alle aspettative di vita.

In futuro in pensione verso i 70 anni e un assegno INPS più ridotto

Visto il continuo e progressivo aumento della speranza di vita, l’età a cui si avrà diritto alla pensione sarà sempre più alta e i coefficienti di trasformazione, e di conseguenza l’assegno pensionistico, più basso. Già oggi la pensione di vecchiaia, per il biennio 2021/2022, è erogata a chi compie 67 anni e ha versato almeno 20 anni di contributi. Nei prossimi anni, l’età minima per la pensione di vecchiaia dovrebbe essere portata a 70 anni.

Gap previdenziale

Si pone dunque il problema del cosiddetto “gap previdenziale” ovvero la differenza tra il primo assegno pensionistico e l’ultimo reddito da lavoratore. Secondo recenti stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze, già per chi andrà in pensione nel 2030 questo gap sarà vicino al 30% per i lavoratori dipendenti e addirittura intorno al 50% per i lavoratori autonomi. E aumenterà con l’andare del tempo.



L’eccessivo affidamento alla pensione pubblica

Il problema maggiore del sistema pensionistico italiano è l’eccessivo affidamento al primo pilastro della pensione, cioè la previdenza pubblica. Tendiamo a delegare in toto allo Stato la responsabilità del nostro mantenimento una volta usciti dal mondo del lavoro, senza attivarci per introdurre una forma di previdenza alternativa individuale.
Il risultato? Solo il 43% degli italiani risparmia per la pensione contro una media globale del 63% e solamente il 13% dei cittadini ha stipulato un piano pensionistico privato a differenza del 51% dei tedeschi e del 29% dei francesi.




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