Il fondo che hai sottoscritto è un affare per te o per chi te lo ha venduto?


Non cercare l’ago nel pagliaio, compra l’intero pagliaio!

I fondi comuni che riescono a mantenere la promessa sulla quale si basano, ovvero offrire un’extra rendimento rispetto a quello offerto dal mercato sono una sparuta minoranza; su orizzonti di tempo lunghi sono una vera rarità.

Se la percentuale di quelli che riescono nell’impresa in un singolo anno può raggiungere il 50%, più si allunga il periodo di osservazione e più bassa è questa probabilità. Nel decennio conclusosi a dicembre 2020, la percentuale di gestori attivi che sono sopravvissuti e hanno sovraperformato nei principali segmenti di mercato, come l’azionario globale e l’azionario europeo, è stata rispettivamente del 5,7% e del 9,6% (Morningstar’s European Active/Passive Barometer Year-end 2020). Sul mercato americano, per cui sono disponibili studi con un orizzonte temporale maggiore, gli strumenti a gestione attiva che investono in aziende a grande capitalizzazione del mercato a stelle e strisce che negli ultimi 20 anni hanno fatto peggio dell’indice S&P 500 sono stati il 94% (SPIVA US Year-end 2020 Scorecard: Passive Continued Its Winning Streack).

I fondi comuni che riescono a giustificare i propri costi quindi sono pochi. Per investire con successo dovreste investire in questi “unicorni” che davvero riescono a battere il mercato, il problema è trovarli. E con grande probabilità non sono quelli che vi propone la vostra banca, troppo occupata ad offrirvi l’ultima novità sul mercato o l’ennesimo prodotto di casa.

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Ma i risultati di questi pochi campioni sono da attribuire all'abilità o alla fortuna? 


È probabile che l'abilità genuina persista, mentre la fortuna è casuale e fugace. Pertanto, una misura dell'abilità è la coerenza della performance di un fondo rispetto ai suoi pari nel tempo. 

Anche in questo caso viene in nostro soccorso Standard and Poors che con il suo studio Persistence Scorecard (SPIVA US Persistence Scorecard Year-end 2019) misura tale coerenza (definita persistenza) e mostra che, indipendentemente dalla classe di attività o dal focus sullo stile, quando questa si manifesta, la sovraperformance della gestione attiva è in genere di breve durata, con pochi fondi che superano costantemente i loro pari e riescono a battere il mercato di riferimento.

La ricerca "Fleeting Alpha: The Challenge of Consistent Outperformance" esamina i gestori di fondi che hanno sovraperformato i rispettivi benchmark in un determinato periodo di tempo, quindi analizza quei dati per trovare coloro che hanno sovraperformato anche negli anni successivi per capire se vi sia una correlazione diretta.

L'idea è di quantificare quanto siano persistenti i gestori di fondi nel battere i loro benchmark. In altre parole, cerca di rispondere alla domanda: le prestazioni "vincenti" dei fondi attivi sono avvenute grazie all’abilità o alla fortuna?

Gli analisti hanno selezionato i fondi che superano i benchmark sulla base dei rendimenti annualizzati triennali e al netto delle commissioni. Quindi, hanno esaminato se questi fondi - ovvero i "vincitori" - hanno continuato a sovraperformare durante i successivi tre anni.

I grafici a torta di seguito illustrano i risultati di questo rapporto solo per le principali classi di attività azionarie nell'ultima serie di periodi di tre anni studiati. Ad esempio, il 10,55% di tutti i gestori di fondi azionari a larga capitalizzazione è stato in grado di sovraperformare il mercato di riferimento nei tre anni fino al terzo trimestre del 2016. Alla fine di settembre 2019, tuttavia, nessuno di quei 99 fondi è stato in grado di continuare a battere l'indice.



I risultati mostrano che tra i fondi azionari che hanno battuto il mercato di riferimento (o benchmark) nel triennio terminato il 30 settembre 2016, la persistenza della performance nei tre anni successivi è stata peggiore di quella che si sarebbe potuta ottenere con una scelta casuale dei fondi.

In altre parole, le prestazioni passate non aiutano a identificare in anticipo i gestori che otterranno prestazioni superiori in futuro.

Le conclusioni del rapporto dovrebbero rappresentare un duro monito nei confronti di chi pensa di poter utilizzare le prestazioni passate e altre metriche correlate per individuare i futuri vincitori. Ancora più precisamente, le evidenze statistiche hanno mostrato che un livello più elevato di sovraperformance da parte dei gestori attivi in ​​un anno generalmente ha comportato una riduzione delle probabilità di ripetere tali risultati negli anni successivi.

Non sorprende che l'unica chiara correlazione che è stata evidenziata nei vari studi condotti è relativa alla chiusura dei fondi con le peggiori performance.

Nei 20 anni trascorsi tra il 1° gennaio 2001 e il 31 dicembre 2020 la percentuale dei fondi che non sono sopravvissuti perché chiusi o fusi con altri comparti è molto indicativa di questa tendenza. Si va da un minimo del 59,17% dei fondi azionari Small cap per arrivare al 73,50% dei fondi azionari Large-cap.


In media oltre 6 fondi su 10 non sono sopravvissuti in questo arco di tempo.





Nonostante una vasta gamma di evidenze che mostrano una mancanza di persistenza nella performance a lungo termine tra i fondi comuni di investimento a gestione attiva, molti partecipanti al mercato considerano le prestazioni passate e le relative metriche come fattori importanti nella selezione dei gestori. La decisione di utilizzare le prestazioni passate in questo modo molto probabilmente deriva dalla convinzione che i vincitori persistono, in altre parole, che un gestore che ha sovraperformato in un dato periodo probabilmente farà altrettanto bene anche in quello successivo. Si tratta di una convinzione errata e dannosa.

È sicuramente possibile individuare i migliori fondi a gestione attiva, quei pochi che riescono a battere il loro mercato di riferimento. Il problema è che si possono selezionare quelli che hanno avuto buoni risultati in passato, ma come abbiamo visto, ciò non implica in alcun modo che questa qualità sarà replicata in futuro.

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La frase "i rendimenti passati non sono un indicatore dei risultati futuri" (o qualche sua variazione), che si trova nella scheda di ogni strumento finanziario, è stata voluta dal legislatore in base a stringenti evidenze statistiche a tutela degli investitori e va quindi tenuta in grande considerazione.

Fare leva sulle prestazioni o su altre metriche passate di un fondo per suggerirne la sottoscrizione, oltre ad essere una pratica scorretta, non ha alcun merito.

Come scrive John Bogle, “scegliere un fondo comune che batta il mercato a lungo termine è, mutuando la meravigliosa osservazione di Cervantes, come cercare un ago in un pagliaio” ed è un’attività che richiede più fortuna che abilità per avere successo. Il consiglio del fondatore di Vanguard è quindi: “non cercare l’ago nel pagliaio, compra l’intero pagliaio!”.

Perché tentare la sorte scegliendo un fondo a gestione attiva che ha pochissime probabilità di fare meglio del mercato e moltissime di fare peggio quando si può decidere di investire, con costi molto più contenuti, in strumenti che replicano l’andamento del mercato scelto?

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In conclusione, invece che andare a caccia di costosi ed elusivi unicorni i risparmiatori ed investitori italiani trarrebbero molto più giovamento dall’essere aiutati e guidati nell’identificare e definire i loro valori ed obiettivi, nella costruzione di un portafoglio d’investimento robusto, efficiente e personalizzato volto al raggiungimento di tali obiettivi che investa in strumenti semplici e dai costi contenuti (gli ETF, che nessuno vi propone mai…).


Ogni volta che vi viene proposto un investimento dovreste quindi chiedervi: cui prodest? A chi conviene? L’affare lo sta facendo chi sottoscrive l’investimento o chi lo propone?

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